Laila, i boomer, le tasse. Sinner: l’italiano imperfetto – Beat and Love n. 17
Il suo fandom compatto lo difende sempre dagli indignati di turno. Eppure una domanda serpeggia anche tra i suoi più fedeli sostenitori: perché non si è scelto una fidanzata italiana?
“Possiamo non parlare di Jannik Sinner per almeno cinque minuti?”, chiedeva un’amica che lavora in radio e che di solito si occupa di economia e finanza. Anche a lei è toccato fare lo speciale “Tasse a Montecarlo”, nel pieno delle polemiche con oggetto il Nostro Tennista Nazionalpopolare più Forte di Sempre. A un certo punto, Sinner ha dichiarato che avrebbe rinunciato a partecipare all’edizione 2025 della Coppa Davis (vinta per due anni di fila), che significa giocare vestendo la maglia della Nazionale, e da lì si è scatenata la solita ondata di indignazione. Non dai social, per una volta, ma direttamente dai media tradizionali: Bruno Vespa, Aldo Cazzullo, Massimo Gramellini, Maurizio Crozza e, per ultimo, “il Codacons”; lo specifico perché “Codacons” evoca alla maggioranza delle persone un’associazione di consumatori con degli uffici pieni di gente in gilet marrone che timbra indefessamente scartoffie, ma a rappresentarlo è sempre lo stesso signore, Carlo Rienzi, che non perde mai l’occasione di inserirsi in una polemica mediatica che coinvolge il Personaggio Nazionalpopolare di turno. Comunque, la rinuncia di Sinner alla Coppa Davis, per ragioni e calcoli prettamente agonistico-competitivi, ha di nuovo aperto le dighe del risentimento covato contro questo giovane altoatesino dai capelli ricci e rossi, un misto di italica diffidenza e irritazione, riassumibile nel tweet nonché capolavoro di comicità scritto da Bruno Vespa:
Perché un italiano dovrebbe tifare per Sinner? Parla tedesco (giusto, è la sua lingua madre), risiede a Montecarlo, si rifiuta di giocare per la nazionale. Onore ad Alvarez che gioca la coppa Davis con la sua Spagna.
Alvarez, naturalmente, sarebbe Carlos Alcaraz, il tennista nemicoamico di Sinner. Il refuso vespiano è dovuto non si sa bene a cosa, forse al correttore automatico, forse a un colpo di genio. Ma il senso del tweet è chiaro: lui, Alvarez, sì che incarna quell’idea che avremmo di identità spagnola (moracchione, iperattivo, iper-entusiasta della vita, che si precipita a Ibiza tra un torneo e l’altro). Invece, Sinner è armocromicamente sbagliato, ride poco, lavora troppo. È condannato a essere chiamato “il crucco” dai boomer di tutta Italia, a mezza bocca e con sibilo di disapprovazione, calatissimi nei panni dell’alpino che difende il Piave. Anche mio padre, per dire, soffre di questo stesso problema: all’inizio di ogni torneo Sinner è “il crucco”, poi man mano che avanza dagli ottavi ai quarti, diventa “l’austriaco”, e infine, se arriva ad alzare la coppa, si trasforma finalmente in “grande eccellenza italiana”, “eroe nazionale”. Poi al torneo successivo, il ciclo ricomincia da capo.
Il fulcro centrale dell’indignazione nazionale contro Sinner è la questione “tasse”. Se partiamo dal presupposto che in Italia c’è una pressione fiscale esagerata, oltre che in aumento negli ultimi anni, sia per i liberi professionisti che per i dipendenti, e un’evasione fiscale altrettanto esagerata, si capisce che si entra direttamente in zona “cavi dell’alta tensione scoperti”. In questo caso, infatti, la “tassa” non è più il semplice balzello monetario, ma assurge a contributo simbolico e morale, l’imposta sull’appartenenza. Il dazio etico che il cittadino di successo dovrebbe pagare ai connazionali per espiare la colpa del “privilegio”, parola che oggi indica una specie di colpa di classe, pure se i soldi te li sei guadagnati eccellendo nel tuo mestiere (una cosa che nel Novecento veniva chiamata, seppur non proprio da tutti, “merito”). Del tutto inutili, naturalmente, gli articoli che spiegavano per filo e per segno perché gran parte dei tennisti risiedano a Montecarlo (per le agevolazioni concesse dall’ATP), o che ricordavano come i montepremi dei tornei siano tassati nei paesi in cui quello stesso torneo si svolge, e i costi elevati per chi deve girare il mondo, con tutto lo staff stipendiato, seguendo un tabellone di gare convulso e sfiancante.
E torniamo, quindi, all’Armata Boomer contro Jannik. Di solito evito di usare “boomer” come appellativo negativo, nel senso di “tradizionalista”, “poco al passo coi tempi” o “allergico alle novità”, ma stavolta la definizione calza alla perfezione. Tutta la categoria del boomer-giornalista con decenni di carriera, stipendi fantascientifici e un gran senso autopercepito di autorità morale (alla lista di cui sopra va aggiunto anche Corrado Augias) si è schierata compatta, e non può essere un caso. Qua ci deve essere una vera e propria “strategia boomer” – ho pensato con la mia mentalità da millennial cospirativa –, un’operazione mediatica costruita ad arte e farcita di sentimento antisportivo, che scatta quando un ragazzo troppo giovane e troppo bravo (nonché milionario) non rispetta il copione previsto dai vekki (quello di essere un giovane lamentoso e sfaticato).
“Sinner interpreta un nuovo modo di essere italiani”, ha scritto su X un giornalista. In effetti, l’italianità nel nostro immaginario è tradizionalmente dominata da tre città-stato: Napoli, con la sua napoletanità viscerale e teatrale; Roma, con la romanità sarcastica e sorniona; e Milano, che da anni tenta di imporsi come hub internazionale e multiculturale, versione lombarda della West Coast americana (senza mai riuscirci, infatti “wannabe” è sinonimo di milanesità). Jannik Sinner, in questo schema prefissato secolare, spunta dal nulla, cioè dai confini estremi e remoti del Belpaese, ricordati solo quando si parla di vacanze in montagna. È cresciuto in un contesto sobrio, concreto, con genitori che lo hanno sempre sostenuto ma pretendendo soprattutto lavoro, impegno e serietà (
ha raccontato un aneddoto notevole su Siglinde) e questo atteggiamento si riflette in campo come fuori. Una postura che, inevitabilmente, stona con il rumore di fondo del nostro immaginario nazionale e alimenta le polemiche esterne.Per una volta, sui social nessuno era indignato ma erano tutti contro gli indignati. Tra i meriti di Sinner c’è l’aver creato un fandom compatto e fedele (a tratti, anche troppo) che in pochissimo tempo ha arruolato persone che, fino al giorno prima, non sapevano assolutamente nulla di tennis (me compresa) e che l’hanno difeso strenuamente per giorni, mentre lui era in tutt’altre faccende affaccendato. La vera peculiarità, però, è che Jannik Sinner, pur appartenendo alla Gen Z, non è a suo dire affatto “social”. Però gli piace “scrollare”, certo, forse le foto delle belle ragazze (e in questo è più vicino a un boomer che a uno zeta). Il mio sospetto è che proprio così abbia trovato la nuova fidanzata, Laila Hasanovic, che infatti è un’influencer. Per uno che “non è social”, spero che qualcuno l’abbia avvisato che dovrà “gareggiare” su un terreno scivoloso. Arrivata alla fine di questo pezzo, posso concedermi una confessione. Ho passato giorni a indignarmi contro i giornalisti boomer che accusavano Sinner di scarso patriottismo, e ora eccomi qui, pronta a fare di peggio, indignandomi per la vera domanda che serpeggia nel fandom: perché non si è scelto una fidanzata italiana?
Questa ignobile domanda va però spiegata: ogni giornalista di costume sperava in una nuova power couple all’italiana, stile Francesco Totti & Ilary Blasi. Per esempio, qualcosa come Jannik Sinner & Samira Lui sarebbe stata un’apoteosi, una di quelle notizie capaci di far crescere il PIL nazionale di un punto e mezzo. E invece no: lui si è scelto un’algida danese di origini bosniache, il cui dossier circola sottobanco tra il fandom e nelle chat delle giornaliste-vipere di costume, le stesse che in pubblico esclamano: “Uh, ma che bella coppia!”. Leggo dal dossier:
Laila è una modella di Armani e un’influencer di medio livello (al momento, conta circa quasi 400 mila follower). Il suo account Instagram è passato da una media di –2 follower al mese a +12 mila dopo che la telecamera l’ha inquadrata a Vienna, mentre lo speaker annunciava: “Ed ecco la nuova girlfriend di Jannik Sinner”, in piedi e composta accanto a Siglinde mentre Jannik alzava l’ennesima coppa. Laila è bellissima, alta e bionda: ricorda un po’ Chiara Ferragni e un po’ Gloria Guida in Avere vent’anni. È dello Scorpione (🚩) e parla molte lingue, tra cui un po’ di tedesco ma non l’italiano (🚩🚩). Prima di Sinner è stata fidanzata con il pilota Mick Schumacher (figlio di) e prima ancora con un calciatore danese (🚩🚩🚩).
Scrollando i suoi profili, si nota subito che il suo stile è quello tipico della clean girl o dell’old money aesthetic, ma con capi H&M (anche perché ne è testimonial). Per chi non è avvezzo al linguaggio dei trend, si tratta di uno stile volutamente non appariscente: “lusso sobrio e senza tempo”, che “privilegia la sartorialità e la qualità rispetto alle mode del momento”. La palette è rigorosa, va dal beige al marrone, sortite di bianco e nero con qualche incursione nel grigio, per poi tornare al beige. È anche quel tipo di influencer che pubblica storie con testi minuscoli: da un lato molto chic, dall’altro totalmente illeggibili, tanto che tocca fare uno screenshot e zoomare per capire cosa diamine ci sia scritto. La timeline del sospetto, ricostruita dai detective di internet, è questa: a febbraio (in teoria era ancora fidanzata con Schumacher junior) un utente di TikTok mostra una foto di Laila e sua madre a una partita di tennis di Holger Rune. Lei all’insinuazione risponde pure con un commento (e poi cancella) che suona tipo: “una non può farsi vedere alla partita di un amico, che subito partono i gossip?”. Poi, a maggio, subito dopo la finale degli Internazionali d’Italia, Sinner viene avvistato a Copenaghen da una signora che scatta una foto (la signora: una di noi). Ma a Wimbledon Laila è ufficialmente presente: elegantissima in tribuna, già vista poche settimane prima a Parigi durante la finale del Roland Garros. A Wimbledon me la immagino che arriccia il labbro guardando l’americana Brooks Nader, influencer e protagonista di un reality show, che nel frattempo ce la stava mettendo tutta per avere un flirt con Sinner o con Alcaraz.
Poi all’inizio di settembre esce l’iconico pezzo sul Corriere Jannik Sinner e Laila Hasanovic, passione gelato, dove i proprietari di una gelateria di Montecarlo descrivono la coppia come molto gentile e riservata. La proprietaria ha sottolineato la semplicità di Laila, definendola una “ragazza acqua e sapone” (cadendo nella trappola dell’old money style, che proprio quello vuole farti credere). L’accusa strisciante che nessuno vuole pronunciare ad alta voce per timore di rappresaglie da parte di gente tipo Vagnoli & Fonte: Laila Hasanovic, per caso, è una wag? Detto ciò, Laila sembra aver capito perfettamente il carattere dell’altoatesino: evita con cura di postare quando si trova a Montecarlo e aspetta, con disciplina quasi professionale, le direttive del team. Nella presentazione ufficiale a Vienna era vicino, ma anche leggermente indietro, a mamma Siglinde, come di una che sa già tutto del protocollo reale. Lo sa lei e lo sanno tutti che una relazione ufficiale con Sinner sarebbe un’accelerazione notevole di carriera, e che le femministe di Instagram non si scandalizzino: funziona così, da sempre, in questa industry (e se non lo sanno loro…).
Dunque, no: neanche nei prossimi mesi abbiamo speranza di smettere di parlare di Sinner per almeno cinque minuti, tra tornei che non finiscono mai e pause in cui tocca indagare su ogni mossa della nuova power couple.
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Urge un approfondimento sui carota boys... si vedono meno, odiatissimi dalla fan base... la 🦊 si è mangiata la 🥕