Meghan Markle, Duchess of Sus 🧐 – Beat and Love n. 1
Le buone cause, il vittimismo, la Sussex Squad, la spernacchiata serie Netflix: tutto ciò che c’è di “sospetto” nelle mosse della moglie del principe Harry
Ora che l’eccitazione pubblica per Meghan Markle si è disciolta nell’imbarazzo generale, possiamo finalmente analizzare cosa diamine è successo, dato che finora la barricata di buone cause dietro la quale si è arroccata la duchessa non ha permesso di farlo con la necessaria leggerezza d’animo. Se criticavi lei, andavi contro quelle buone cause, tutte tra l’altro giustissime come la lotta al razzismo, il femminismo, l’anticolonialismo e chi più ne ha più ne metta. Lo stesso meccanismo ricattatorio già visto nelle strategie di comunicazione di alcune influencer: per un certo periodo hanno funzionato più che bene, ma poi quelle stesse strategie si sono inevitabilmente scontrate con il dispotico principio di realtà. E le influencer non solo hanno rovinato la loro stessa reputazione, ma anche quella delle ottime cause che avevano preso come giustificazione per le proprie azioni. Meghan Markle, grazie a un inusitato dono del destino, è riuscita a farlo su un palcoscenico molto più grande e importante, passando da un account Instagram dove faceva, in effetti, l’influencer lifestyle, a fidanzarsi col principe Harry.
Il ritratto più preciso di Meghan Markle l’ha realizzato una content creator su TikTok, un’attrice comica che ha chiamato il suo account “Meghan the Duchess of Sus”. Sus sta sia per Sussex (la contea inglese), sia come abbreviazione di suspect, cioè sospetto. In che senso Meghan Markle sarebbe sus? La content creator, nella sua imitazione, riesce a cogliere con estrema grazia i punti salienti delle pose della duchessa, in primo luogo il modo di parlare: voce impostata da corsi di dizione, tono basso, parole molto scandite. I discorsi sono dei panegirici, che rendono difficile cogliere il punto se chi ascolta ha una soglia dell’attenzione bassa, ma in sostanza sono delle arzigogolate lodi a se stessa. Anche gli outfit della duchessa sono riprodotti alla perfezione: vestita da gala con gonna ampia mentre si pavoneggia nel salotto della casa a Montecito; in beige in mezzo alla gente mentre dispensa i suoi famosi abbracci; con una camicia dalle maniche arrotolate quando la situazione è seria e c’è bisogno di far vedere che lei si sta dando molto da fare. Il sospetto, dunque, è che la duchessa abbia fatto esperienza nell’ambito delle arti manipolatorie: un conto è dire “sono la migliore!” in piedi su un tavolo, un conto è dire “non trovi che io abbia fatto una scelta eccellente nella composizione di questo magnifico bouquet floreale?”, pronunciando tutto con quel suo modo di parlare, piroettando dentro un vestito di seta e con una tiara in testa. Arti esercitate soprattutto sul marito: il principe Harry, che nella parodia non si vede mai, ma le risponde fuori campo con una voce mesta e derelitta. Quando la voce fuori campo di Harry mostra di non capire il problema del giorno, la parodia di Meghan alza il livello di passivo-aggressivo, la voce da sussurrata si fa sibilante e inizia a lanciare insulti sempre molto velati alla famiglia reale inglese (in special modo alla cognata), che ha contribuito così poco allo sviluppo psico-cognitivo del marito (ma per fortuna ora c’è lei).
La content creator è fisicamente simile a Meghan Markle tranne che per il tono della pelle, che è più scuro di quello della Meghan reale. In effetti, le content creator nere di YouTube e TikTok spesso hanno criticato apertamente le mosse di Meghan Markle, quando ancora tutta la stampa progressista e l’opinione pubblica sembravano dalla sua parte. A loro non piaceva il trattamento che lei aveva riservato alla famiglia d’origine e a quella acquisita, anche perché sembrava non si fosse mai curata della sua blackness prima di fidanzarsi col principe Harry. Chris Rock aveva commentato le velate accuse di razzismo di Meghan Markle nei confronti di imprecisati reali alla corte della Regina, dicendo: “Didn't she hit the light-skinned lottery?”. Alla stampa mondiale e progressista è servito qualche altro anno per arrivare alla stessa conclusione. L’edizione americana di Vanity Fair ha dedicato un lungo articolo alla coppia Harry & Meghan con un titolo eloquente, “American Hustle”, all’interno del quale viene citata l’opinione di una studiosa afroamericana che sottolinea come i due “si siano raccontati come vittime del sistema, ma tutto ruota attorno al loro essere esclusi dalla whiteness e dal privilegio di essere bianchi”. In effetti, Meghan mentre si raccontava vittima del sistema (per via della sua etnicità, o perché donna “troppo forte”), si sistemava in testa una tiara. Etnicità che poi era “bella attrice di Los Angeles”, non proprio tra le categorie più oppresse al mondo, ma sicuramente tra le più addestrate a farlo credere.
E in tanti ci hanno voluto credere. Online intorno ai duchi del Sussex si è creata una community, dal nome “Sussex Squad”, piuttosto simile ai fandom delle popstar. Oggi la Sussex Squad si è ridotta di molto, ma prima contava migliaia di account online, content creator con ampio seguito e anche svariati giornalisti (qualcuno resiste ancora oggi, appigliato alle illusioni di ieri). Per la Sussex Squad, Harry e Meghan sono stati davvero l’emblema della coppia contemporanea, smart e multiculturale, all’avanguardia sulle battaglie per i diritti civili (e non due milionari scappati di casa che si atteggiano a vittime); il loro scopo era difenderli online a ogni costo, supportando i loro sostenitori e denigrando gli avversari. Premettendo che anche la coppia Kate & William ha il suo fandom (prima “Team Cambridge” e ora “Team Wales”) con delle frange estreme come la Sussex Squad, quest’ultima però è stata particolarmente perniciosa nel voler “cancellare” i nemici dei suoi beniamini, aggrappandosi proprio ai dettami dell’attivismo performativo. Ovviamente, la più denigrata di tutti in questo scontro tra tifoserie online è stata la principessa del Galles, Catherine Middleton: se Meghan era la femminista, Kate era considerata poco più di una “fattrice” e “un’arrampicatrice sociale”. I primi giornalisti inglesi che hanno scritto di come Meghan trattava i suoi collaboratori a palazzo, hanno ricevuto via email centinaia di minacce di morte (verso loro stessi e la loro famiglia). L’ultimo colpo di coda della Sussex Squad si è visto l’anno scorso, quando hanno prima creato la cospirazione “Where is Kate”, e poi l’hanno spinta online, sfruttando l’interesse dell’opinione pubblica sulla salute della principessa del Galles (tenuta riservata fino a quel momento). La pressione dell’opinione pubblica era così alta che la principessa aveva dovuto rilasciare un video, girato dalla BBC, in cui spiegava di avere un cancro, e non la si vedeva più in giro perché stava facendo la chemioterapia. Nello stesso momento di spasmodica attenzione verso Kate Middleton, Meghan Markle lanciava il suo nuovo brand “American Riviera Orchard”: un brand simil-Goop (quello di Gwyneth Paltrow) ma mai realmente partito per problemi di reperimento dei prodotti (qualcuno dice: cinesi) e per “irregolarità sulla domanda di registrazione del marchio”.

Infatti, il brand è stato dismesso e sostituito con “As Ever”, ma anche questo si sovrappone ad altri brand già esistenti. Per pura pietà, stenderei un velo pietoso sulla sua ultima, mondialmente spernacchiata serie Netflix, With Love, Meghan. Il momento topico è quando riprende l’amica pagata di turno che la chiama “Markle”, dicendole che preferisce “Sussex” come cognome, in quanto le ricorda “la famiglia”. Peccato che “Sussex” sia il titolo nobiliare che le ha dato la Regina (le cronache narrano che lei sia stata nel Sussex solo per 6 ore in tutta la sua vita) e non il cognome di famiglia che invece è Mountbatten-Windsor.
Un fandom che vive in un perenne stato d’illusione è un fandom molto pericoloso. Ma la duchessa del Sussex, del suo non ne ha mai fatto menzione. In compenso, si è lanciata nella battaglia “contro il bullismo online”, ma solo quando rivolto verso se stessa, dichiarandosi “la più trollata del mondo”. In questo si era fatta aiutare da una personalità di spicco nel mondo della reputazione online: Christopher Bouzy, il fondatore di Bot Sentinel, un servizio di analisi di X/Twitter che tiene traccia dei bot. Proprio l’azienda Bot Sentinel aveva divulgato a più riprese dei report, sempre ripresi dalla stampa, in cui si parlava dei bot, delle fake news e dell’odio online verso i duchi del Sussex, senza però mai menzionare che lo stesso succedeva anche per i principi del Galles, e talvolta proprio dall’account di Christopher Bouzy (che poi comparirà anche nella miniserie Netflix Harry & Meghan, accanto a quest’ultima). Di questa e di altre storie sus è costellata la parabola di Meghan Markle, di cui pochissimo è arrivato agli occhi del grande pubblico. L’articolo di Vanity Fair parla anche dei progetti falliti della coppia, del CEO di Spotify sconcertato che li definisce “truffatori”, degli accordi sottobanco per un presunto libro di Meghan “post-divorzio”, di come Meghan si atteggi da mean girl e tratti male i suoi collaboratori anche a Montecito. Ma i punti oscuri restano: non è mai stato chiarito il legame tra Markle e Markus Anderson, magnate canadese che ha in gestione la Soho House di Londra, un club “esclusivo” e per “ricchi” che a un certo punto Harry deve aver frequentato, e dove qualcuno proprio lì deve avergli messo sotto gli occhi l’account Instagram di Meghan; non è mai stato chiarito perché Tyler Perry (il produttore e attore miliardario, considerato conservatore e legato al movimento Black Lives Matter, ma da questo anche criticato per alcuni atteggiamenti) avesse così a cuore la causa di Harry & Meghan tanto da avergli offerto il volo della fuga, ospitalità nella sua villa in Canada e guardie del corpo in protezione. A un certo punto, era quasi venuto il dubbio ad alcuni commentatori inglesi che Harry, il nipote preferito della Regina, fosse sotto sequestro ma a sua insaputa. È un po’ sus pure il fatto che in The Spare (l’autobiografia di Harry) di Meghan Markle non si parli quasi mai (al contrario, tre quarti del libro sono dedicati a Chelsy Davy, l’ex di Harry); l’unico passaggio descritto con estrema cura che riguarda Meghan è un evento in teoria laterale, cioè quando la duchessa avrebbe incontrato per la prima volta il principe Andrea e lo avrebbe scambiato per un maggiordomo. Ecco, di questo vorremmo che parlasse la prossima serie Netflix a firma Harry & Meghan (o magari anche il prossimo James Bond): della duchessa sus e del suo fandom delulu. Non di come realizzare delle coccinelle con la mozzarella e il pomodoro o un arcobaleno di frutta o, ancora, il “sun tea”, ossia un tè energeticamente impreziosito dai raggi solari, ma di come sia riuscita a passare per la nuova Rosa Parks mentre la battaglia che aveva più a cuore era l’orlo del suo vestito da sposa Givenchy.
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