Dal Vangelo secondo internet – Beat and Love n. 3
In principio era il Meme, e il Meme era presso Dio, e il Meme era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, anche le cospirazioni sulla morte di Papa Francesco
Jorge Mario Bergoglio diventa Papa Francesco a marzo 2013, annunciandosi come venuto “quasi dalla fine del mondo”. All’epoca eravamo ancora ingenui, gli apocalittici erano circoscritti dentro certi forum, dove disquisivano tra loro del calendario Maya; eravamo all’inizio della scalata al successo degli influencer; non si facevano ancora i live-tweeting selvaggi di Sanremo; del caso Emanuela Orlandi se ne occupavano solo i veri appassionati di true crime. “La fine del mondo” di cui parlava Bergoglio era stata interpretata come una metafora di “vengo da lontano”, cioè dall’Argentina. Invece oggi, volgendo lo sguardo al passato, potremmo darle un’interpretazione più alla Dan Brown, più escatologica: forse il Papa voleva dire che veniva da un posto dove aveva già visto il mondo andare in crisi, e che il suo compito sarebbe stato quello di fare da traghettatore dell’umanità in un periodo di sconvolgimento della società civile a vari livelli, contrassegnato da paura, confusione e caos. Il mondo reale sarebbe stato superato per importanza dal mondo online, apparentemente non governato dalle leggi di Dio, ma dalle leggi decise dai nerd della Silicon Valley. E dunque, a Papa Francesco bisogna riconoscere questo: ha traghettato la Santa Chiesa Romana finora, facendola uscire indenne dai cambiamenti sociali provocati da internet e dai social media.
Papa Francesco fin da subito ha scelto la via più difficile, si è spogliato di tutti gli orpelli, ha indossato una croce di ferro e si è fatto meme. La memificazione di Benedetto XVI e le allora primitive polarizzazioni sui social erano state fatali al suo pontificato, conclusosi comunque con uno spettacolare annuncio in latino; le foto della cupola di San Pietro colpita da un fulmine avevano fatto il giro del mondo. In quel momento sembrava che la Chiesa intera dovesse uscire dalla Storia, portandosi dietro tutte le religioni e gli afflati spirituali, con la società totalmente secolarizzata che, con l’avvento di internet, pensava di aver risolto tutti i suoi problemi. La memificazione di Papa Francesco inizia con lui che dice: “chi offende mia mamma si becca un pugno”. I più sgamati avevano già capito: abbiamo un Papa based, un Papa Chad (nel gergo online, vuol dire più o meno qualcuno “che la sa lunga”, che non si lascerà impressionare dalla cancel culture o dagli attivismi performativi e continuerà a dire le cose come stanno). Impressione confermata dalla seconda immagine più virale e iconica del papato di Francesco: quando durante una notturna a San Pietro, mentre saluta la folla, viene tirato per il braccio da una donna asiatica. Segue schiaffo del Papa sulla mano della donna, e sguardo di chi perde la santa pazienza se l’altro non si contiene e non pratica la creanza. Scene del genere spesso capitano alle star del pop, che soccombono a ogni richiesta del fan molesto, ben sapendo di essere ripresi e di rischiare una shitstorm. Ma Francesco no: egli sapeva che il gentle parenting fa più danni che altro, dunque anche il gregge va rieducato, dopo anni a scappare dal recinto.
Ma l’immagine che davvero rimarrà nella storia è quella del Papa da solo in una piazza San Pietro deserta. Piove, siamo tutti chiusi nelle nostre case, è appena iniziata la pandemia. Papa Francesco alza l’ostensorio, benedice Urbi et Orbi, prega in silenzio. Incarna la speranza “adulta”, perché non è il momento d’illudersi, ma di “affrontare la croce”, destino di ogni uomo. A lui riesce, insomma, quello che non riesce all’apparentemente laica industria dello spettacolo, con le star della cultura pop e gli influencer che si fanno vedere su Zoom a cantare “Imagine” di John Lennon. Suonano decisamente falsi, chiusi nelle loro case da milionari, preoccupati soprattutto di perdere lavoro e fan. Alla fine del 2021, e all’inizio del 2022, ormai è chiaro: l’influencer marketing è finito, le grandi popstar dovranno sudarsi il loro posto in cima alla piramide del successo, le persone saranno sempre meno disposte all’idolatria di umani in carne e ossa, pure se hanno milioni di fan su Instagram. Online, i content a tema spirituale esplodono e sembra che l’umanità stia ripartendo da zero: pali santi, diari della manifestazione, sciamanesimo e stregonerie assortite. Molte star iniziano a “convertirsi” (perlopiù a chiese evangeliche-pentacostali) e si “battezzano” postando su IG il loro tuffo nel Giordano. I concerti di Taylor Swift sembrano grandi sermoni da megachurch americane.
Dopodiché, entra in scena l’intelligenza artificiale. E qual è la prima immagine che diventa davvero virale a livello mondiale? Papa Francesco. Nell’immagine pensata da un giovane Gen Z e creata dall’AI, il Papa indossa uno di quei piumini esagerati stile Kanye West, bianco candido e con la canonica croce di ferro al collo. Per capire davvero la rilevanza di questa immagine bisogna ragionare sul rapporto tra Chiesa Cattolica e cultura pop negli ultimi decenni, diciamo dagli anni Ottanta in poi. Giovanni Paolo II, dopo aver lottato contro il comunismo, parallelamente portava avanti anche la sua personale battaglia contro un certo tipo di pop culture, il suo essere intrinsecamente blasfema in quanto portatrice di valori quali individualismo ed edonismo. Benedetto XVI, che amava comunque l’espressione artistica, parlava dei rischi del relativismo culturale, considerandolo una minaccia alla verità assoluta del messaggio cristiano. Ratzinger, ovviamente, passava per assolutista, senonché ci siamo ritrovati in tempi in cui quelli che si dichiaravano inclusivi hanno iniziato proprio a osteggiare la cultura occidentale, massima espressione della democrazia liberale e del relativismo culturale, appunto. Papa Francesco, invece, prende atto che la cultura pop e il relativismo culturale esistono e che la Chiesa Cattolica Romana non può e non deve, anzi, “combattere” quei linguaggi, che vengono comunque dall’uomo, e l’uomo è creatura di Dio. Dunque, la Chiesa deve farsi assimilare da quel linguaggio. In fondo, non sarebbe la prima volta: è ciò che avvenne quando il Cristianesimo incontrò la cultura dell’Impero Romano.
In principio era il Meme, e il Meme era presso Dio, e il Meme era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, anche le cospirazioni sulla morte del Papa tanto care a Fabrizio Corona, e con ogni evidenza anche i meme “Italian brainrot” con bestemmie annesse. “Dio non è un demiurgo o un mago, ma il Creatore che dà l’essere a tutti gli enti”, aveva detto Papa Francesco nel 2014. Al prossimo Papa spetterà il compito di affrontare i molti Anticristo del nostro tempo – e ce ne sono fin troppi, visto che ormai non passa giorno senza che qualcuno si autoproclami tale o venga accusato da altri di esserlo (da Donald Trump a Elon Musk, da Kanye West a Lady Gaga, a volte sono intere organizzazioni a essere etichettate come l’Anticristo come il WTO, a volte intere nazioni tipo Israele o la Russia). Nel frattempo, online c’è una cospirazione per ogni cardinale aspirante Papa; l’esercito dei complottisti è attualmente capitanato dall’ex arcivescovo Carlo Maria Viganò, già scomunicato per scisma nel 2024 proprio da Bergoglio. I fandom, invece, hanno rispolverato il brano sanremese del 1997 dei Pitura Freska: Sarà vero/ Dopo Miss Italia aver un Papa nero/No me par vero. Chi verrà dopo dovrà farsi largo tra millenarismo pop, complotti e fandom, profezie digitali, preti tiktoker. Ma niente paura perché, come si sa, gli algoritmi del Signore sono infiniti.
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