Il delitto di Garlasco, a metà tra Twin Peaks e un romanzo di Simenon – Beat and Love n. 6
Perché la cronaca nera sembra sempre più una serie TV? Perché finiamo nel vortice di piste sataniste, moventi mancanti, indagini fatte male, e Fabrizio Corona? Una riflessione sulle nostre ossessioni
In questi giorni, circola un meme che riprende la nota cartolina di Twin Peaks, ma con la scritta GARLASCO al posto del nome della cittadina immaginaria creata dall’enigmatica mente di David Lynch. Trattandosi di un meme, ne esistono già diverse varianti, con i nomi di Avetrana, Cogne, Brembate di Sopra; insomma, tutti quei paesi di provincia che costituiscono una sorta di geografia collettiva del morboso. Garlasco è in provincia di Pavia, in Lombardia, e ha poco meno di diecimila abitanti. Classico posto dove non succede niente, “due discoteche e 106 farmacie”, finché una mattina di metà agosto, un “biondino” con “gli occhi di ghiaccio” si presenta a casa della sua fidanzata, che non risponde al telefono. Chiara Poggi è stata brutalmente assassinata e giace riversa sulle scale che portano alla tavernetta di casa sua, in un lago di sangue. Sotto Garlasco si apre un baratro che fa sprofondare la cittadina nello ctonio (termine della mitologia greca che indica un mondo sotterraneo abitato da entità malvagie, personificazione di forze sismiche e vulcaniche che ogni tanto si manifestano scombussolando il mondo di sopra).
L’omicidio di Chiara Poggi diventa uno di quei casi di cronaca nera ipermediatizzati, capaci di catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica per giorni, anni e decenni. Fenomeno che non si manifesta affatto con tutti i casi di omicidi e scomparse, ma anzi con solo una piccola parte di essi. Sono quei casi di nera in cui il pubblico si identifica coi protagonisti, sono quelle storie che sembrano scritte da un bravo giallista e girate da un regista visionario; somigliano a storie di fiction che fanno già parte della pop culture, e della fiction hanno le stesse caratteristiche. Ci sono serial killer carismatici che fanno inopinatamente innamorare il pubblico femminile, e cospirazioni dentro i palazzi di potere. A volte si assiste a colpi di scena inaspettati, che gli spettatori seguono con un mix di emozioni, divisi tra la voglia di capire e il disagio di sentirsi attratti da una fascinazione per l’orrore.
Emozioni che posso ben comprendere, essendo tra quelli che oggi vengono definiti “fan del true crime”. Ero una “fan del true crime” da prima che diventasse socialmente accettabile esserlo, passione che devo aver sviluppato guardando da piccola, insieme a mio padre, due programmi: Chi l’ha visto? e Storie Maledette. Ancora oggi, le community di true crime si aggregano online intorno a questi due programmi (esistono i Chilhavisters e i Leosiners), a cui se ne sono aggiunti nel frattempo altri tipo Quarto Grado, e poi i podcast (due su tutti: Indagini di Stefano Nazzi ed Elisa True Crime); da sottolineare che queste community sono categorie sociologiche composte principalmente da donne. Su questa faccenda della maggioranza femminile ammaliata da storie tragiche sono state fatte varie ricerche: quella che va per la maggiore al momento sostiene che noi donne saremmo attratte dal true crime perché ci identifichiamo con le vittime, che sono infatti perlopiù donne, e che seguiamo queste storie per capire come proteggerci. Insomma, seguiremmo il true crime per istinto di sopravvivenza. Ammetto che questa spiegazione non mi convince del tutto e anzi, mi suona un po’ da giustificazione alla mia innata curiosità che troppo spesso, appunto, sconfina nella morbosità. Magari può bastare a un’ascoltatrice media di Elisa True Crime, che cerca solo intrattenimento, partecipando alle discussioni di una vivace community, e nel frattempo imparare come riconoscere un serial killer. Ma ammetto di trovare Elisa True Crime un po’ kitsch: secondo la definizione di Tommaso Labranca, è kitsch una narrazione “che mira a essere elevata e sdolcinata”, e che per farlo elimina tutto ciò che è merda (l’autore dice: basso). Infatti, nei suoi podcast Elisa si commuove spesso ricordando le vittime, di cui sottolinea continuamente l’importanza di mantenere viva la memoria. Chi l’ha visto?, invece, è nudo e crudo, ti sbatte in faccia il fatto che non puoi parlare di cronaca nera omettendo gli schizzi di sangue sul muro, i tamponi rettali ai cadaveri, le chat sgrammaticate del presunto colpevole e tutti quei dettagli tra lo squallido e il trash. Dunque, da dove viene quest’attrazione per il crimine collettiva?
Per quanto mi riguarda, la definizione migliore di true crime l’ha scritta Camille Paglia nel suo saggio di maggior successo Sexual Personae. Secondo la filosofa americana, il true crime e l’horror in generale “sprigionano quelle forze che il cristianesimo aveva represso, la distruttività barbarica della natura. […] Sono rituali di un culto pagano”. E prosegue: “In essi, l’uomo occidentale è posto forzatamente di fronte a ciò che il cristianesimo non è mai riuscito a occultare né a chiarificare in via definitiva. Dà, in parte, sfogo alla segreta aspirazione dell’Occidente cristiano alle verità dionisiache”. Le donne, secondo l’autrice, sarebbero naturalmente più vicine a questa visione dionisiaca del mondo (leggete il libro per capire il perché, c’entra la natura sessuale delle persone, appunto), motivo per cui sono anche quelle più attratte dal true crime. Inoltre, non è possibile nessun lieto fine, nessuna risoluzione, per quanto riguarda queste storie dell’orrore. Il male – insito nella potenza devastatrice della natura – potrà anche essere ricacciato nel sottosuolo ma “la natura, come i vampiri, non dormirà a lungo nella sua tomba”, scrive. A ogni modo, questa definizione torna bene anche per Garlasco: pensavamo che il caso fosse stato definitivamente chiuso col “biondino dagli occhi di ghiaccio” Alberto Stasi in carcere, dopo varie diatribe giudiziarie. Con la riapertura delle indagini si sono aggiunti alla narrazione principale nuovi collegamenti, nuovi spunti, nuovi personaggi. Ed è spuntata anche una “pista satanista”, dove sarebbe implicata “una setta”, costellata di “suicidi misteriosi” nei dintorni di Garlasco, che punterebbero al santuario della Madonna delle Bozzole. In questo luogo di culto cristiano, avrebbe operato un prete-esorcista, caduto più volte in tentazione dentro “festini omoerotici”, quindi ricattato da malviventi in possesso di video compromettenti. Possiamo considerare a tutti gli effetti questa pista un grande classico del true crime: non c’è un caso di cronaca nera che a un certo punto non abbia una pista del genere (e Camille Paglia ci ha già spiegato il motivo). Garlasco qui prende effettivamente le sembianze di Twin Peaks, con la sua loggia bianca e loggia nera; per chi non conosce la serie di Lynch: nella loggia bianca risiedono gli spiriti che controllano la natura; nella loggia nera ci sono gli spiriti cattivi e malvagi (Twin Peaks è una grande metafora della visione del mondo di Lynch, permeata di spiritualismo gnostico).
Più che Lynch, comunque, la storia di Garlasco mi ricorda un libro di Georges Simenon, non della serie Maigret ma proprio quelli con personaggi dalle vite piccole e metodiche, gente grigissima, paesani rancorosi e meschini che finiscono dentro storie assurde. Un amico, appassionato lettore dei libri di Simenon, è anche la persona da sempre convinta dell’innocenza di Alberto Stasi. Ci siamo detti che Garlasco è tale e quale a uno di quei paesini di Simenon, con le cascine vicino a un fosso dove vengono affondati oggetti e moventi, coi vicini che spiano e stanno zitti. E poi presunti colpevoli in bicicletta, avvocati bislacchi, poliziotti incompetenti, giudici ottusi, gemelle inquietanti, amici di famiglia morti di morte violenta, parenti che si muovono in un’atmosfera di odio larvato che sembra profondissimo, in una generale sensazione di inquieta attesa, a cui va aggiunta l’isteria collettiva da circo mediatico, che – almeno quella – nel mondo di Simenon mancava. I giornalisti, come sempre accade nei fatti di cronaca nera ipermediatizzati, cercano di presidiare ogni pista possibile, nella speranza che proprio quella si riveli poi quella giusta. Se ci prendono, possono dire che loro avevano già capito tutto, prima degli inquirenti e della procura. Se non ci prendono, basta stare zitti e passare al prossimo caso (tanto nessuno ricorderà cosa avevano detto). Ma questa volta sembra regnare la confusione: tutti brancolano, cercando di capire dove collocarsi, quale narrazione abbracciare.
Uno solo è rimasto sempre fedele alla sua linea: Vittorio Feltri (“Hanno messo in carcere uno a caso”, aveva detto a proposito di Alberto Stasi). Per chi, invece, era ancora troppo giovane nel 2007 e si è chiesto cosa c’entra Fabrizio Corona con l’omicidio di Garlasco, ebbene vale la pena ricordare che già all’epoca si presentò in paese tentando di ingaggiare le gemelle Cappa, riconoscendole come “appartenenti a quel mondo” (cioè a quello dell’intrattenimento, o a quello ctonio del sottosuolo, a questo punto valutate voi). Le gemelle Cappa, quasi entità unica nella loro dualità (e qui torniamo a Lynch), note per aver realizzato un fotomontaggio aggiungendo malamente a una loro foto la cugina assassinata. Sempre in un’ottica lynchiana, Fabrizio Corona è invece la figura di passaggio tra i due piani della realtà: collega il mondo di sopra con quello di sotto, l’alto con il basso. Il nostro agente Cooper, simbolo vivente del vortice mediatico che si attiva ogni volta intorno a casi come questo. Dunque, arriveremo mai a sapere chi ha ucciso Chiara Poggi?
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Grazie Laura per questo splendida newsletter che ho letto tutto d'un fiato con curiosità e ammirazione.
Che libri di Simenon consigli? 🙂
Vivendo all' estero, diversi amici o colleghi di altre nazionalità (tedesche, rumene, svizzere...) mi chiedevano come mai noi italiani avessimo questa curiosità altissima verso i casi di crime, che, a sentir loro, in altri paesi ci sarebbe meno. E veramente così? Sarebbe curioso a livello antropologico capire come mai. Sapevo per dire che Mussolini proibì si parlasse di cronaca nera sui giornali per troncare questa curiosità morbosa (e sicuramente per simulare un ordine che non c'era).
P.S. che libri di Simenon consigliate?