Rituales nell’èra dei fandom e dello streaming – Beat and Love n. 19
Classifiche di fine anno, Wrapped e community: come la musica è diventata un linguaggio identitario
Questo numero di Beat and Love è realizzato grazie ai dati e al sostegno di Spotify.
È quel momento dell’anno in cui anche le community online devono affrontare il loro personale redde rationem: le classifiche finali, che decretano non solo quali popstar svettano sulla cima dell’Olimpo, ma soprattutto quali fandom hanno meglio saputo portarcele. Gli utenti iniziano a scalpitare e a chiedersi “quando uscirà il mio Wrapped?”, pretendendo il certificato finale del loro lavorìo annuale. Per questo le classifiche non andrebbero lette in modo superficiale, come fossero una semplice curiosità da speaker radiofonico, e nemmeno come il tabellone dei risultati finali in una gara di cavalli, bensì considerate per ciò che sono: dati su cui poter fare ragionamenti di sociologia digitale. Qui si misurano la capacità organizzativa delle community, il loro grado di influenza, la pervasività delle loro pratiche di mobilitazione. E di conseguenza, si capisce anche quali sono i veri monarchi del pop, in grado di creare grandi fanbase senza farsene travolgere.
Ogni posizione ci racconta cos’è successo quest’anno: chi ha prodotto hit e chi flop, chi ha dato più scandalo, chi ha saputo amministrare scientemente il proprio condominio. Ma anche quali sono le community più attive, quelle dormienti, quelle attraversate da fratture interne, le alleanze e le rivalità. Se prendiamo, per esempio, la classifica globale degli artisti più ascoltati su Spotify, si apre davanti a noi un ampio spaccato di “geopolitica musicale”, soprattutto se confrontiamo il dato di streaming con il buzz online. Insomma, quanto sono chiacchierati gli artisti rispetto alla loro posizione in classifica? Ai numeri dello streaming corrisponde quasi sempre il grado di menzioni online che un artista è in grado di generare. Non è solo una questione di ascolti, ma di massa discorsiva che lo accompagna.

Incrociando i dati, interrogando la palla di vetro, buttando nello stesso calderone glitter e canotte bianche attillate, e invocando infine l’algoritmo, il responso è questo: il primo e il secondo posto, tanto nello streaming quanto nelle menzioni, sono un affare a due tra Taylor Swift e Bad Bunny. Il perché del grande successo di Taylor Swift ormai è chiaro anche in Italia: album-memoir che raccontano le sue vicende sentimentali, le liti con Kim Kardashian e tutte le altre beghe da popstar, narrate con maestria shakespeariana su basi pop irresistibili; e un fandom vastissimo, agguerrito, fedelissimo, a tutti gli effetti un “movimento attivista”, seguace del femminismo tayloriano. Il loro peso culturale si riflette sui numeri: dove passa Taylor Swift si alza il PIL della nazione che ospita i suoi concerti (e altri miracoli tardo-capitalistici del genere); la sua dominazione nelle classifiche è incontrastata, la sua presenza nei trending topic, perenne. Quest’anno, però, la dinamica si è leggermente invertita: il nuovo album The Life of a Showgirl sembra aver inciso meno sul fronte degli ascolti, mentre il fidanzamento di Swift con il giocatore di football Travis Kelce è diventato il vero epicentro del discorso online. E ha prodotto anche crepe interne al fandom: una parte ha vissuto questa svolta più “tradizionalista” come una sorta di tradimento narrativo della donna forte, tosta, indipendente. Il risultato è evidente: la popstar resta la più chiacchierata, ma perde il primato di artista più ascoltata dell’anno.
In vetta arriva invece il caliente Bad Bunny, che con l’album DeBÍ TiRAR MáS FOToS in spagnolo si è fatto rappresentante nel mondo della cultura latino-americana in chiave contemporanea, il re del global-pop. Nel 2026 sarà l’artista che si esibirà nell’halftime show del Super Bowl (scatenando l’ira dei MAGA trumpiani). Spotify, nel frattempo, gli ha steso un tappeto rosso: un film internazionale che racconta la sua ascesa ed esperienze esclusive sparse per il globo per la sua comunidad. Del resto, essere una popstar latino-americana significa partire con un vantaggio non da poco: avere già alle spalle alcuni dei fandom più vasti e scatenati del pianeta, quelli in Brasile, Messico e naturalmente Porto Rico (casa sua). È questa fanbase gigantesca e iperattiva che lo ha spinto in cima alle classifiche (anche italiane), trasformandolo nell’artista più ascoltato, e senza neanche far leva sui drammi legati alla vita privata.
I grandi assenti di quest’anno nella top 10 sono le band K-pop. L’unica presenza significativa arriva dal film targato Netflix K-pop, Demon Hunters (se non sapete come è diventato il titolo più visto di sempre sulla piattaforma di streaming, e perché racconta molto più di una semplice storia per bambini, ne ho scritto qui); l’album della colonna sonora e il singolo “Golden” delle Huntrix sono entrambi nelle rispettive top 10. Preannuncio che questa sarà solo una parentesi, più che un cambio di tendenza: nel 2026 è atteso il ritorno dei BTS, e allora saranno con ogni probabilità Bad Bunny e Taylor Swift a dover reggere l’urto del loro ritorno sulla scena globale. La BTS Army è silenziosa solo perché si sta preparando alle stan wars del prossimo anno. Menzione speciale per Drake e Kendrick Lamar: la loro rivalità permanente, fatta di dissing e provocazioni reciproche, li tiene stabilmente ai vertici sia dello streaming sia delle conversazioni online (strategia non riuscita in Italia a Fedez e Tony Effe). In coda alla top 10 globale, emergono invece le spinte dei grandi fandom locali in crescita, come quelli indiani e messicani. Ariana Grande compare soprattutto grazie al flusso costante di drama generato da Wicked: dalla simbiotica amicizia con Cynthia Erivo alle voci sui problemi di salute. Restano invece fuori Beyoncé e Lady Gaga, un tempo regine indiscusse di fandom granitici, anche se, a onor del vero, Lady Gaga piazza comunque un colpo da record: “Die With A Smile”, in coppia con Bruno Mars, è la canzone più ascoltata dell’anno.
Tornando in Italia, basta dare un’occhiata alle classifiche per capire la situazione che può essere descritta solo con tre parole: Sanremo, maranza e assenza di donne nella top ten. Prendiamo atto che nelle classifiche globali difficilmente compaiono artisti italiani, e questo non perché non siamo bravi (anzi), ma perché numericamente i nostri fandom partono svantaggiati. C’è comunque un momento dell’anno in cui riusciamo a dominare i trend online, il buzz su X e le classifiche streaming, e gli altri fandom, soprattutto quelli latino-americani, ci guardano con una certa invidia: durante il Festival di Sanremo. E, infatti, le classifiche Spotify italiane di fine anno raccontano proprio questo: l’inamovibilità del pilastro sanremese nella cultura italiana. La canzone e l’album più ascoltati del 2025 sono di Olly, il vincitore del Festival. E poi tornano i nomi di Achille Lauro, Fedez, Giorgia.
La classifica degli artisti italiani più ascoltati ci riporta, invece, alla community più attiva del paese: quella della trap e del rap, fatta soprattutto da giovanissimi della Gen Z concentrati tra Milano e Napoli. E, infatti, in cima troviamo Sfera Ebbasta, Shiva, Guè, Geolier e Marracash. Per incontrare la prima artista donna bisogna scendere fino alla sedicesima posizione, dove compare ANNA (Anna Pepe), seguita da Elodie. E già percepisco serpeggiare l’indignazione nella community italiana su X, dal solito account della ventenne swiftiana che scrive “fate tanto le femministe ma poi…”. Su X, la più citata rimane Elodie (decisamente più di Olly, per esempio), che gode anche di un maggior sentiment positivo rispetto a quest’ultimo, ma poi i dati di streaming danno un risultato molto diverso. In Italia, l’ecosistema di piattaforme social e di streaming, popstar e community non è (ancora) così fortemente in simbiosi come negli Stati Uniti, in America Latina e in Corea del Sud.
Comunque, anche da noi si rintracciano casi interessanti come ANNA, che ha creato l’aesthetic della baddie all’italiana, diventando popolarissima tra adolescenti e ventenni, grazie a TikTok. Lo stesso vale per Shiva, il trapper milanese, esempio eccellente di maranza pop che finisce spesso in tendenza grazie ai suoi drammi sentimentali (tre figli con due tiktoker diverse), alle vicende giudiziarie, ai dissing (per non dire “sparatorie”) con altri trapper italiani. A chiudere la carrellata, con il primo posto nella classifica degli artisti italiani più ascoltati all’estero, ci sono i Måneskin, e questo nonostante il loro recente periodo di pausa dal palcoscenico. Il loro fandom è paragonabile a quello degli artisti internazionali, composto non solo da italiani ma anche da fan negli USA e in Brasile. Grazie a questa fanbase globale, i Måneskin restano instancabilmente in cima, affiancati dai sempiterni Pausini, Ramazzotti e Bocelli.
Non resta a questo punto che lasciarsi cullare dal Wrapped. Quest’anno il trend è partito con la solita sfilza di tweet: “Quest’anno non sento l’hype per il Wrapped”, finché qualcuno non ha puntualizzato: “È la centesima volta che leggo questa frase… forse è proprio questo l’hype che cercavi”. Effettivamente, Spotify è la piattaforma che è riuscita nell’impresa di ritualizzare, sia sul piano collettivo che su quello individuale, l’ascolto annuale di musica: conferma quanto si è immersi in una community e segnala se il rapporto parasociale con la popstar è ancora ben saldo o si è affievolito. Oggi le classifiche non sono mai solo numeri: sono lo specchio di cosa unisce davvero le community, quali estetiche forgiano la loro identità collettiva e quali valori le mantengono insieme. Offrono uno spaccato di come evolve la società, anno dopo anno, e spiegano perché sentiamo il bisogno di condividere pubblicamente i nostri gusti musicali: il pop è la religione, Spotify è il tempio, lo streaming un atto di fede, il Wrapped il rito collettivo.
P.S.: nel mio Wrapped c’è il grande ritorno del fervore britpop, complice la reunion degli Oasis, nella speranza che il tour nei prossimi anni faccia tappa anche a Roma.
*Ho scelto la piattaforma di Elon Musk perché continua, nonostante tutto, a essere la piattaforma dei grandi fandom e delle community. Inoltre, a differenza di altre piattaforme social e d’intrattenimento più chiuse (tipo Meta), permette ancora di stimare il numero di mention online e l’engagement intorno a un artista, un evento, un prodotto culturale. Dati: Spotify, Talkwalker e Grok.
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Tutto vero ma c’è da dire anche che Bad Bunny ha fatto un disco della madonna