Da altre parti
Di tanto in tanto, scrivo anche da altre parti: una selezione
L’epoca degli influencer è davvero finita? – Wired Italia
L’influencer economy, percepita quasi come un effetto secondario della rivoluzione digitale, è il fenomeno che ha sconvolto lo stato della società negli ultimi vent’anni, con la creazione di identità individuali e collettive dal nulla e la loro monetizzazione, l’invenzione di nuove carriere e un approccio al lavoro completamente diverso, più amatoriale e meno istituzionale. Ha risemantizzato la definizione di popolarità, intrattenimento e autenticità: le piattaforme social hanno permesso a chiunque di accumulare follower e fan, e gli influencer sono riusciti a raggiungere milioni di persone a un costo decisamente inferiore rispetto a una vecchia campagna pubblicitaria. Per un attimo sembrava realizzarsi il sogno di un’imprenditoria digitale democratica e meritocratica: d’altronde gli influencer vendevano sé stessi e il loro stile di vita, percepito più autentico perché orizzontale e diretto. Parrebbe quasi inverosimile che tale rivoluzione sia passata dai profili Instagram di quelle che prima erano fashion blogger e beauty vlogger.
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Iconico! L’influenza della stan culture – Link. Idee per la televisione
Ormai non è più raro imbattersi, soprattutto su Twitter, in stan account. Si tratta di profili interamente dedicati a una celebrità, al personaggio di una serie tv o di un film. Quando gli stan account si uniscono, formano una standom. A volte, si danno un nome dalla desinenza in -ers: Directioners e Beliebers sono i più noti a livello internazionale, mentre in Italia abbiamo anche i Leosiners (gli stan di Franca Leosini) e gli Angelers (gli stan di Alberto Angela). Sono conosciuti anche nella variante italiana “Le bimbe di”.
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Taylor Swift spiegata ai boomer – Rivista Studio
Lunedì scorso Michele Serra ha dedicato la sua newsletter per il Post, Ok Boomer!, a Taylor Swift, dicendo che la sta pedinando da qualche mese, cercando di capirne il fenomeno, del perché è stata nominata “Persona dell’anno 2023” dal Time. Dice di aver letto un po’ di spiegazioni ma alla fine si arrende: «Qualcuno mi dia una mano». Certo, il 2023 è l’anno in cui ci siamo accorti di Taylor Swift anche in Italia: all’improvviso anche il Tg1 ha iniziato a dedicarle con una certa costanza il servizio d’approfondimento culturale, invece che a qualche aggiornamento sui soliti Rolling Stones.
Non è assolutamente facile spiegare l’inspiegabile e mastodontico successo di Taylor Swift. Non è insomma solo un problema da boomer, è che bisogna proprio avviarsi su per una via crucis, dove ogni tappa rappresenta un fenomeno di Internet, che va analizzato e capito.
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Blind items, l’evoluzione del gossip – Link. Idee per la televisione
Come certi localini nascosti diventano improvvisamente di moda, così i blind items hanno smesso di esistere solo negli angoli bui di internet, e ora sono un trend in ascesa. La pandemia ha dato nuovo slancio a questo fenomeno, che sta assumendo sempre di più una veste mainstream e meno di nicchia, con newsletter e podcast dedicati, account su TikTok e Instagram seguiti da milioni di persone. Per chi ancora non lo sapesse, i blind items sono dei testi brevi, stile agenzia stampa, che riportano dei gossip ma senza fare nomi. Non sono nati con internet, esistono da quando esiste la stampa scandalistica: sono un escamotage per dare una notizia che, per una serie di ragioni, non si può dare. Sul web hanno trovato terreno fertile fin dai tempi dei blog, con Crazy Days and Nights e Lainey Gossip. Questo perché le celebrità si sono blindate in auto-narrazioni costruite a tavolino dai loro team di comunicazione, mentre i giornali di gossip vecchio stile sono diventati ostaggio delle PR. I blind items, invece, hanno proposto una contro-narrazione diversa, meno patinata e più sporca, comunque apprezzata da utenti alla ricerca di informazioni esclusive o più coinvolgenti.
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La grande truffa del pop – Rivista Studio
Questo non è l’ennesimo articolo che parla dell’enorme influenza di Britney Spears sulla cultura pop occidentale, mettendoci dentro aneddoti personali e gossip: di come una mia compagna di classe si fece lo stesso tatuaggio tribale sul suo fondoschiena, dei ragazzi ipnotizzati dalla tutina trasparente tempestata di brillantini in “Toxic”, dei VMAs del 2000, della storia d’amore con Justin Timberlake, delle “rivelazioni shock” di Tmz, delle foto di nudo sul suo improbabile profilo Instagram. Spogliata di tutti gli orpelli, privata della mistica hollywoodiana e di quella femminista del MeToo, ricondotta alla cruda realtà, la storia di Britney Spears è la storia di una truffa ai danni di una persona con gravi problemi di salute mentale. Visto l’alto profilo della truffata in questione, possiamo definirla anche cospirazione economica ai danni della principessa del pop, che all’apice della sua carriera è stata capace di generare un giro d’affari miliardario.
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Il complesso mondo delle malattie “Internet-based” – Link. Idee per la televisione
L’accoppiata “malattie e Internet” di solito viene tirata fuori dal cilindro per parlare di dipendenza da Internet o al massimo per fare divulgazione e “normalizzare” questa o quella malattia. Quello di cui si parla molto poco, invece, è un fenomeno che riguarda alcune malattie che potremmo definire “Internet-based”, ovvero malattie a cui è stato dato un nome e uno storytelling prima sui social media, e solo dopo l’opinione pubblica e la comunità scientifica hanno iniziato a occuparsene. Sono malattie particolari, che condividono lo stesso ciclo di vita online: si inizia sempre con un nome mai sentito prima, che improvvisamente acquista una sua viralità; il nome porta con sé uno storytelling che lo definisce, e intorno a quello storytelling inizia a formarsi una community di utenti che si identificano con quella malattia, che di solito è “totalizzante” cioè investe e in un certo senso definisce ogni aspetto della vita dell’utente, sia online che offline.
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Conversazioni sul fenomeno BookTok – Link. Idee per la televisione
BookTok è il nome che viene dato alla community di TikTok che si occupa di libri ma è anche una specie di miracolo, l’hashtag magico che i libri li fa anche vendere. Certo, era successo anche con le bookinfluencer di Instagram, ma se nel 2022 al primo posto nella classifica dei libri più venduti in Italia c’è stato Il fabbricante di lacrime di Erin Doom è stato appunto grazie all’intercessione del santo #booktok. Ha portato al successo autori come Hanya Yanagihara e Madeline Miller, ha riportato in classifica vecchi successi editoriali come Dio di illusioni di Donna Tartt. BookTok, insomma, non è più solo un fenomeno online ma una solida realtà e sta incidendo sull’editoria in almeno tre punti: sulla ricerca di nuovi autori, sulle strategie di marketing e sulle vendite.
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Più realisti dei re – Il Post
«2 giugno 1946, gli italiani furono chiamati a scegliere tra Repubblica e monarchia, e scelsero la monarchia. Buongiorno!». Bisogna ammettere che mai apertura di uno Speciale Tg1 è stata più epica di questa. La convinzione con cui la giornalista ha intonato il suo evidente lapsus ha disorientato il pubblico a casa e sollevato un’ondata di contenuti virali online a tema monarchico proprio il giorno della Festa della Repubblica.
Sui social media, però, è già da qualche tempo che si parla della “questione monarchica”, con un volume che cresce di anno in anno, in comunità inaspettate e tra utenti insospettabili.
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I Me contro Te sono l’unica vera power couple italiana – Rivista Studio
La prima cosa che colpisce dei Me contro Te sono i colori: il fucsia fluo, il verde acido, il blu elettrico, l’arancione lisergico, mai abbinati tra di loro e fuori da ogni criterio armocromatico. Sono la nemesi del metodo Montessori, che prevede l’utilizzo di giochi in legno rigorosamente sui toni del beige: hanno salvato l’infanzia della generazione Z e Alpha da quel colore con una colata di slime glitterato, il pezzo forte di un catalogo merchadising sterminato. All’addestramento montessoriano del bambino hanno risposto con le challenge, che non sviluppano né l’indipendenza né la responsabilità nel fanciullo ma almeno intrattengono nel frattempo che la mamma sta finendo l’ultima call del pomeriggio.
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Unica, il trionfo dell’ultratrash italiano – Rivista Studio
Roma avrà perso l’Expo ma almeno l’Italia è finalmente entrata nell’era dell’ultratrash grazie a Unica, docufilm Netflix sul naufragio matrimoniale Totti-Blasi visto da un unico punto di vista, quello di lei. L’avevamo miracolosamente sfangata con The Ferragnez, alla fine rivelatosi solo una blanda auto-santificazione della sagrada familia ambrogina, che continua imperterrita con lo storytelling della famiglia Mulino Bianco, ma con la content house al posto del vecchio mulino. Unica, invece, finalmente riesce dove The Ferragnez non era riuscito, a essere l’emulazione fallita di un modello alto, laddove per alto si intende Al passo con i Kardashian e non la Royal Family inglese. Un appello: smettiamola di chiamare queste famiglie di arricchiti “la nostra Royal Family”, a forza di dirlo ironicamente ora ci ritroviamo con gente che ci crede davvero.
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L’anno del divorzio tragico – Rivista Studio
Invece di fare l’ennesimo podcast true crime di casi arcinoti – Alberto Stasi lo conosco meglio di mio fratello – perché nessuno pensa di fare un podcast interamente dedicato ai divorzi? Solo con quelli del 2023 ci si riempirebbe tranquillamente una prima stagione, soprattutto perché ormai il trend si è invertito e nessuno più divorzia alla maniera di Gwyneth Paltrow e Chris Martin, col conscious uncoupling; oggi è tornato il divorzio alla vecchia maniera: piatti rotti, mani in faccia, post velenosi, i figli come oggetto di ricatto.
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Belve: tv o content? – Rivista Studio
Tra i metodi più in voga per la misurazione di certi fenomeni ci sono la scala Richter, la scala Mercalli e la scala Francesca Fagnani. Quest’ultima prevede quattro tipi di magnitudo che corrispondono ad altrettanti livelli emotivi: “eh”, “mbeh”, “vabbè”, “ah”, laddove “ah” è l’indicatore che stabilisce la massima gravità del momento (fateci caso, è successo ad esempio durante la confessione di Bianca Balti). Belve è un programma d’interviste dove si danno tutti del lei, cosa che oggi succede solo in certi colloqui per multinazionali declassate, con gli Hr della vecchia guardia che si divertono a mettere a disagio i millennial. Anche le domande sono a metà tra il genere Risorse Umane e il quiz da giornaletto per adolescenti, un misto tra “come si vede tra cinque anni e scopri che belva sei”.
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Storia “svergognata” di Rita de Crescenzo – Link. Idee per la televisione
Rita de Crescenzo è diventata famosa su TikTok grazie a un’elaborata intro in cui annuncia se stessa, momento apicale nel festeggiamento di un compleanno o di una prima comunione, con un’inconfondibile voce dal proscenio che prelude al suo arrivo: “Chiappareeella… fiocco di neveee…”. È il momento in cui al bambino viene tolta la benda e lo vediamo che sgrana gli occhi, più dalla paura che dalla sorpresa, e poi appare lei, Rita “la svergognata”, travolgente forza della natura che sale su un palco improvvisato per cantare la sua hit: “O’ bacin / O’ culett / O’ tacatà, o’ tacatà / Po’ rion / Svergognata!”. La canzone, che si intitola “Ma te vulisse fa’ ‘na gara ‘e ballo?”, 5 milioni di visualizzazioni su YouTube e commenti disattivati, non solo potrebbe essere un ottimo esergo per il prossimo libro di Elena Ferrante, ma è anche un inno alla rinascita e al “ricominciarsi”, come dicono certe influencer che hanno piantato il loro business nell’empowerment femminile. Solo che Rita de Crescenzo è partita davvero dal basso del rione per trovare il riscatto su TikTok-Napoli, vera fucina di creatività e rampa di lancio per l’accesso alla notorietà nazionale.
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